Riportiamo un’analisi storico-artistica degli elementi caratterizzanti il borgo tratta da volume edito nel 1980 dalla IV Circoscrizione di Perugia inerente “ricerche e studi per un piano di recupero”. Testo a cura di Lynn Minervini.
LA PORTA DE’ TEI
Nel Borgo di Sant’Antonio si entra attraverso la Porta de’ Tei. L’arco stesso risale al Trecento, anche se l’ubicazione di una porta in questo luogo è probabilmente di data anteriore. La presenza di una porta fuori le mura etrusco«romane , ma entro la più larga cerchia medievale, potrebbe indicare una cinta primitiva che proteggeva i primi agglomerati che si erano sviluppati vicino alle mura antiche.
Fu chiamata in diversi modi: da alcuni «Porta Sole», denominazione data pure all’Arco dei Gigli 0 dei Montesperelli, che si trova alla fine di Via Bontempi. Si suppone che la Porta Sole originaria (distrutta nel sec. XVI) si trovasse all’inizio di Via Alessi; ma questo viene ancora dato a tutte le porte rivolte verso oriente Da altri fu chiamata anche «porta di Santa Maria Nuova» o «porta delli frati di Ranieri» dal monastero che si trovava in Via Pinturicchio. Prese il nome di «Porta Pesa» nell’800, quando il Comune collocò nel largo la grande bascula della barriera daziaria.
ll nome più diffuso rimane «de’ Tei», anche se è ormai sostituito nell’uso comune da «Porta Pesa». I Tei erano una famiglia gentilizia del borgo, che si distinsero insieme ai Ranieri ed ai Signorelli difendendo il rione dall’attacco portato alle mura da Francesco Maria della Rovere e da Orazio Baglioni nel 1519.
LE MURA
L’aspetto originario delle mura è stato notevolmente modificato, poiché molti sono stati i restauri ed i danni subiti nei secoli XVI-XIX. Sono state denudate di merli, guardiole e parapetti.
Il terreno intorno alle mura è alterato dall’abbassamento dei «greppi», o dai fossati riempiti di materiale e rifiuti molto oltre l’altezza normale delle fondamenta.
La cerchia muraria dei borghi sembra già stabilita verso la fine del duecento. In un elenco delle porte eseguito nel 1273, durante la podesteria di Aldighiero da Enzola e la capitaneria di Pellegrino «de Guidonibus», troviamo inclusa la Porta di Sant’Antonio, che si trova all’estremità del Borgo.
I materiali di costruzione erano sopratutto pietra e laterizi.
La pietra travertino, proveniente da S. Sabina, venne scarseggiando nel Medioevo; utilizzata per gli edifici ed i monumenti di Perugia, fu alternata con l‘arenaria per le porte delle mura dei borghi.
«Glie mura de glie tevertina» sono quelle più antiche di epoca etrusca, mentre nelle mura dei borghi venne utilizzata quasi esclusivamente la pietra arenaria. La presenza di travertino, di pietra calcarea o da laterizi rivela quasi sempre un riferimento ulteriore.
Le mura di Borgo Sant’Antonio subirono un grosso cambiamento nel 1373/1375, quando Gherardo Dupuy, detto l’Abate di Monmaggiore, fece collegare con un corridoio la Cittadella di Porta Sole con il Cassero di Sant’Antonio.
Il corridoio scendeva dal colle di Porta Sole; con una grande arcata attraversava Via Muzia (l’attuale Via Pinturicchio), poi si appoggiava su un pilastro entro il convento di S. Tommaso (sempre in Via Pinturicchio); continuava entro il convento stesso e proseguiva sulle mura esterne del borgo. Gli speroni di rinforzo sono ancora visibili negli orti lungo Via del Cane. Questo corridoio venne descritto nel «Diario del Graziani»:
“…ll quale signore fece fare un’ala che andava dalla sopradetta cittadella al cassero di Sant’Antonio, sopra la quale era un andavieni largo più di 10 piedi (m. 3,55 circa), tutto merlato, pettoreggiato e atto alla difesa…”(1)
Poi dall’Ammirato:
“…dall’una di queste fortezze all’altra aveva sopra archi gittato una via coperta cosi larga che v’andavano agiatamente quattro uomini a cavallo perché l’un fortezza si potesse soccorrer con l’altra.” (2)
Il corridoio distrutto in parte durante la rivolta del 1375 e completamente dopo la cacciata dell’abate dalla città. Le muraglie di Porta Sant’Antonio vennero di nuovo restaurate e rinforzate nel 1519 durante la guerra con Francesco della Rovere di Urbino.
CORSO BERSAGLIERI
Corso Bersaglieri era chiamato anticamente Borgo Sant’Antonio, perché era la via che portava alla sede della confraternita e alla chiesa dedicate al santo.
Si chiamò Corso Bersaglieri nel 1860 quando fecero il loro ingresso nel borgo i bersaglieri, liberando la città «dal triste dominio dei papi», come si può leggere tuttora nella lapide affissa sulla Porta di Sant’Antonio. I borghi si erano venuti formando fuori della cinta antica verso la metà del secolo XI. La maggior parte del terreno fuori delle mura del rione di S. Pietro e di Porta Sole era proprietà della Cattedrale e del monastero di S. Pietro. L’afflusso dalla campagna alla città favori lentamente lo sviluppo degli spazi compresi fra Porta Sole e Porta S. Pietro. L’agglomerato di case, l’una vicina all’altra, cresceva prima a ridosso della mura etrusche, allargandosi poi verso i colli ed i fossi vicini.
Borgo Sant’Antonio si sviluppò compatto verso la cima del colle, essendo delimitato da una parte dal profondo avvallamento del Bulagaio, e dall’altra da una delle «vie regali» ad esso parallela, via «Fonte Nuovo» (odierna Via Enrico dal Pozzo).
L’antica cerchia di mura veniva sopraffatta, ma non cessò di essere un ostacolo materiale per i borghigiani. Solo nel 1276 venne meno l’aspetto più concreto della segregazione degli abitanti dei borghi da quelli della città, rappresentato dalla chiusura delle porte della città vecchia:
“Insino a questo tempo la Terra Vechia era, per quel che si trova, separata dai borghi, percioché dove sono i portoni che a tutti cinque quartieri ci erano, si chiudeva anco con porte di legno et a chiave la notte; furono i primi gli uomini di Porta Sole che domandaron che fossero loro levati gl’impedimenti et seragli di dette porte della Città Vecchia, come cosa non convenevole alla loro fedeltà et essendo la cosa nel consiglio proposta fu nel mese di luglio del presente anno deliberato che si levassero le porte di legno affinché gli abitatori di quel borgo venissero né di giorno né di notte più esclusi dalla città, il che fu poi conce- duto all’altre porte che ne fecero la medesima istanza.”(3)
Con l’abolizione delle vecchie porte e la costruzione della nuove mura gli abitanti del borgo potevano ottenere i pieni diritti di cittadini.
L’ORATORIO DELLA CONFRATERNITA DI SAN GIOVANNI BATTISTA
La confraternita ebbe la sua fondazione nel 1570 circa, avendo per le funzioni spirituali un semplice altare nella chiesa di Sant’Antonio Abate. Nel 1578 ottenne dal retore della chiesa un lungo dietro la cappella del crocefisso, situato verso la strada, dove fu edificato un piccolo oratorio, che venne utilizzato fino al 1634 0 1636. Nel 1617 la confraternita comperò una casa in Borgo Sant’Antonio e lì costruì un oratorio più grande, abbandonando poi quello precedente. Il primo oratorio divenne, ed è tuttora, la sagrestia della chiesa di Sant’Antonio Abate.
Sopra la porta dell’oratorio c’è una lapide con la seguente iscrizione:
“D. O.M. Admirare Posteritas Hanc Priores Non Suis
Non Piorum Aliorumque Confratum Aelemosiruls Sed Vox
Clamantìs A Fundamemis Eretix Et Vos Dirigite Viam
Domini Amw Sal MDCC V”
La data si riferisce non alla prima costruzione, ma ad un restauro seguente, finanziato dalle rendite della confraternita.
Dal 1577 i vescovi della città di Perugia approvarono le varie costituzioni ed i regolamenti della confraternita. Ebbe come confratelli, membri delle nobili famiglie perugine come i Ranieri e gli Oddi. La confraternita partecipò alle processioni più solenni di Perugia, ed ebbe un ruolo preminente in quella che si svolgeva la mattina della festa di San Giovanni Batista. Iniziava all’oratorio, portando il sacramento a Santa Maria Nuova, poi alla chiesa di Sant’Antonio Abate. Quindi il sacramento veniva riportato nell’oratorio. La volta e le pareti sono dipinte da decorazioni di tipo architettonico.
Nell’oratorio sono conservate alcune tele, fra cui «La Natività di San Giovanni Batista» di Gianfranco Bassotti, pittore perugino del Seicento.
La tela, collocata originariamente sopra l’altare, dove adesso si trova una statua del giovane santo in legno dipinto, è ora in sagrestia conservata in stato mediocre.
Per la festa di San Giovanni Batista, il 24 giugno, e per altre occasioni vi vengono ancora svolte le funzioni religiose.
L’ORATORIO DELLA CONFRATERNITA DI SANT’ANTONIO ABATE
Insieme alle confraternite di S. Benedetto e di S. Andrea quest’ultima (detta anche della Giustizia o di S. Fiorenzo), la confraternita di Sant’Antonio Abate fu una delle prime istituite a Perugia. Le sue origini risalgono al secolo XIII e fu fondata probabilmente da una compagnia di Disciplinati. Nel catasto del 1361 si trovano notizie dei terreni spettanti al suo ospedale. Questo venne soppresso nel secolo XVII e la compagnia di donne collegata ad esso, detta delle «sorelle spedalieri», venne abolita nel 1697 a richiesta dei monaci Olivetani della chiesa di Sant’Antonio Abate. Nel 1737 tutti i beni di questo ospedale furono donati all’Ospedale Maggiore di S. Maria Maggiore.
Come le confraternite di S. Benedetto e di SS. Simone e Fiorenzo essaera una confraternita detta dei «Civici» perché vi facevano parte soltanto i cittadini di Perugia. Come le altre confraternite, ebbe una costituzione e regolamenti precisi riguardanti, fra l’altro, la partecipazione alle processioni, cui interveniva insieme alle confraternite di S. Benedetto e di SS. Simone e Fiorenzo. Come le altre più antiche confraternite, inizialmente fu protagonista dello sviluppo delle laudi drammatiche del repertorio dei Disciplinati di Perugia. L’oratorio assunse la forma attuale all’inizio del secolo XVI e fu restaurato nel 1735. Decorato di ornati di Nicola Giuli e di figure di Francesco Appiani, l’orat0rio è adesso utilizzato come deposito. Le decorazioni ad affresco sono del Settecento. Gli affreschi delle pareti sono in pessimo stato di conservazione, mentre quello della volta è relativamente ben conservato.
Un camino cinquecentesco in pietra serena scolpito con lo stemma della confraternita si trova nel deposito della Galleria Nazionale dell’Umbria, dove è custodito anche lo stendardo della confraternita dipinto su tela, datato e firmato da Sinibaldo Ibi nel 1512. Esso raffigura Sant’Antonio Abate con due fedeli che indossano la cappa della confraternita.
LA CHIESA DI SANT’ANTONIO ABATE
La prima notizia della chiesa di Sant’Antonio Abate fu nel diploma di Federico II del 1163. Venne nominata insieme alle altre chiese perugine come dipendente dalla cattedrale. Nel sec. XV vi si stabilirono i religiosi canonici regolari dell’ordine di Sant’Antonio. Nel 1446 e 1454 fecero diversi restauri alla chiesa con aiuti in denaro dal Comune. La data di partenza di questi religiosi è sconosciuta, ma dal sec. XVI il priorato della chiesa fu di un sacerdote secolare. Nel 1624 il priorato venne ceduto dall’ultimo canonico, Timoteo Timotei, ai monaci olivetani del monastero di S. Secondo dell’Isola Polvese. Accompagnati dalle confraternite di Sant’Antor1io Abate e di S. Giovanni Battista, i monaci entrarono processionalmente nel borgo insieme all’abate di Monte Morcino, Marcantonio Baldeschi, la mattina del 17 settembre 1624.
Nel 1634 il Comune volle acquistare del terreno, di proprietà dei monaci, con acque scorrenti nel sottosuolo. richiesta dei monaci, il Comune dette in cambio per questo terreno gli orti confinanti con le mura lungo le attuali Vie Cialdini e Brugnoli, ed annessi alla chiesa (ora proprietà privata).
Francesco Tolomei, soprintendente del monastero dall’anno 1652, fece eseguire restauri alla chiesa e al monastero e documento in un libro dell’archivio dell a chiesa, l’esigenza di un sotterraneo scoperto durante i lavori di abbassamento del pavimento nel 1634:
“…sotterranea profonda altrettanto quanto oggi è l’altezza dei pilastri che si vedono fuori nella chiesa grande, cioè dal pavimento 0 basi di essi fino alli capitelli; essendosi la piccola chiesa sotterranea empita di terra, et era larga e lunga in modo che pigliava la metà del sito sbassato, che dalla muraglia del coro è compreso alla metà della chiesa superiore. Questo abbassamento fu di due piedi (61 cm. circa). ” (4)
Durante un’epidemia nel 1766 un centinaio di cadaveri vennero seppelliti nel campo a sinistra fuori la porta di Sant’Ant0nio. Pochi anni più tardi le ossa furono trasferire in questo sotterraneo, dove ancora si trovano i monaci fecero ampliare il monastero nel 1785, ma solo tre anni dopo ottennero dal monastero di S.Francesca Romana il trasferimento definitivo. Partendo per Roma, portarono i beni, gli oggetti preziosi ed alcuni quadri.
Fra questi era una tavola, rappresentante la Madonna e Santi, dipinta per l’altare della chiesa di S. Secondo all’lsola Polvese, datata nel 1524 e firmata da Sinibaldo Ibi, pittore peruginesco. Lasciarono però la lunetta della tavola, raffigurante il Padre eterno, che si vede tuttora in sagrestia, in pessimo stato di conservazione. La chiesa subì restauri nel sec. XVIII, nel 1814 e nel corso di questo secolo, Nell’interno si trovano due altari ornati di stucchi; all’altare maggiore c’è un crocefisso con intagli in legno. L’organo, costruito nel 1655, è opera del pisano Michele Buti e del perugino Angelo Mattioli. In chiesa ed in sagrestia ci sono diverse tele e tavole secentesche e settecentesche, compresi quattro ritratti di cardinali ed alcuni quadri di carattere votivo.
Interessante è la statua in legno di Sant’Antonio, che originariamente era collocata nella loggia del cortile della chiesa.
All’esterno della chiesa si trova tuttora un porcellino in pietra (simbolo di Sant’Antonio) appoggiato su un frammento di una colonna scanalata, forse romana.
Una delle usanze collegate con il culto del santo fu il portare dei cavalli nell’atrio della chiesa per essere benedetti il giorno della festa del santo, il 17 gennaio. Per la benedizione dei cavalli veniva offerta alla chiesa della cera.
Da un primo rilievo effettuato attraverso una delle «fosse» (l’unica praticabile attualmente) si può dedurre che il lato sud della chiesa corrisponde in linea di massima al limite perimetrale della antica chiesa.
Nel lato ovest è ben visibile il tamponamento effettuato, presumibilmente, agli inizi dell’ottocento, come si può riscontrare dalia data apposta sul pilastro centrale. Si può ipotizzare che anche il lato nord della chiesa attuale corrisponda sostanzialmente alla linea del perimetro originario.
Un primo esame dei materiali facenti parte della chiesa precisamente ci fornisce indicazioni sulle murature verticali, che risultano essere in prevalenza di pietra arenaria e calcare bianco a conci regolari. Il pilastro centrale, in mattoni, risulta datato al 1821, e probabilmente fu eretto per rinforzo alla volta del soffitto, a botte, in mattoni di grosse dimensioni.
Il pilastro in pietra fuoriuscente dalla muratura ovest e il capitello in travertino levigato, «affogato» sulla parete est, indicano che forse in origine le volte proseguivano verso il presbiterio della chiesa e che forse la fossa attuale faceva parte della cripta della chiesa originaria.
Altra ipotesi è che la chiesa stessa avesse in passato un piano di calpestio più basso dell’attuale piano di campagna.
Ora non è possibile stabilire con esattezza né l’altezza né il tipo di pavimentazione, essendo il pavimento della fossa ricoperto da detriti di varia natura, resti di ossa umane e frammenti di tavole di legno (probabilmente di bare).
L’altezza del piano di calpestio della chiesa rispetto a quella della fossa risulta comunque di 200 cm. (Il rilievo e le notizie fornite sono state concesse gentilmente da Enzo Marcaccioli, che si è avvalso dell’autorizzazione alla ispezione del Parroco Don Raniero Mastroforti).
IL CASSERO DI SANT’ANTONIO
Le tracce del Cassero sono poche e per la maggior parte nascoste. Per aver una descrizione ci dobbiamo rivolgere alle cronache;
“…Anche aveva fatto fare su a S. Antonio, su la porta che andava a S. Maria di Monte Luce, un cassero con sei torri maestre, pure il più bello e il più forte che mai si vedesse per muri altissimi, tutto merlato e pettoreggiato con due ponti levatori da entrare a mettere gente a sua petizione.” (5)
Il cassero fece parte di un complesso di fortezze. A Porta sole furono distrutte molte case per costruire la Cittadella, che doveva diventare una residenza papale. Questa fu collegata con la Cattedrale e con il palazzo dei Priori per mezzo di un corridoio, come quello che la collegò con il Cassero di Sant’Antonio. A Porta Sant’Angelo, vennero aggiunti al sistema di fortificazione il Cassero di San Matteo e la Penna, ed infine il Cassero a Porta di Sant’Antonio. Furono costruiti nel periodo dal 1372 al 1375 per opera di diversi membri della curia. Gregorio XI autorizzò il progetto, e l’architetto Gattapone di Gubbio venne incaricato per il disegno del complesso difensivo. Il cardinale Gomez Albornoz, con l’incarico dal pontefice di «governatore per le opere belliche», si interessò alla costruzione. Non meno importante fu Gherardo Dupuy, l’abate di Monmaggiore, diventato vicario della città quando si trovò a Perugia per la morte del vicario Cardinale Cabossoles. Il governo dell’abate fu presto aborrito, ed insieme al sistema di fortificazione suscitò nei perugini un odio non solo anticlericale ma pure antifrancese. In fondo, le fortezze non furono costruite solo per proteggere la città dagli attacchi esterni ma anche come difesa contro le possibili rivolte cittadine. Già dal 1373 ci I furono tentativi di rivolte seguiti dagli arresti di cittadini. Il 7 dicembre 1375, mentre altre città si sollevarono nel territorio di dominio papale, anche i perugini insorsero.
Approfittando dell’assenza del condottiere mercenario, Giovanni Hawkwood, detto «l’Acuto» il popolo armato accorse in piazza mentre l’Albornoz, l’abate, altri dignitari della curia, e tutti gli stranieri armati si rifugiarono nella Cittadella. I perugini bruciarono i levatoi, preclusero le uscite ed interruppero i corridoi. Le fortezze della Penna e di San Matteo caddero, perché non munite a sufficienza e non collegate con le altre fortezze. Da Firenze, Arezzo e Siena vennero aiuti di denaro e di armati. Alcuni perugini vennero incontro all’Acuto che si trovava a Ponte San Giovanni con le sue truppe, «e con molta sollecitudine e con una certa somma di denaro…» fu convinto a non soccorrere i francesi. Nonostante gli attacchi con armi da lancio, quali i battifogli e le balestre, i francesi rimasero in vantaggio. Per la loro posizione erano difficilmente attaccabili ed inoltre erano forniti di viveri, munizioni ed armi da lancio. L’Acuto probabilmente non sentì di attaccare Perugia soccorsa dalle tmppe di altre città e si fece mediatore per una resa a condizioni favorevoli.
L’accordo fu vantaggioso per i francesi, forse perché per l’esperienza e per i motivi geografici, i perugini sapevano che non era conveniente avere la Chiesa come nemica. Alla fine di dicembre l’abate, insieme alle altre persone che si rifugiarono nella Cittadella, lasciò Perugia. Nel gennaio del 1376 i perugini cominciarono a demolire la fortezza, ma fu distrutta solo in parte risparmiando tratti di mura e la porta di Sant’Antonio, che tornò ad essere semplicemente una porta del borgo.
“…le furono ben levati tutti li corridori, tutti i ponti, le fosse, le mura; le case di habitare furono in buona parte lasciate in piedi ma però in maniera, che non potevano più servire come luogo forte.” (6)
Il Cassero fu ancora scaricato nel 1424, insieme a quello di Porta Sant’Angelo, per fornire mattoni alla Piazza del sopramuro e le pietre ai frati di San Domenico per la loro chiesa.
Oltre alle traccie di muro (visibili all’interno degli orti, che sono di proprietà privata) ci sono tre resti della costruzione del Cassero messi in luce dalla ricerca di A. Calderoni. I ruderi di una torre di un molino sono incorporati in un’abitazione in Via Cialdini; il molino non fu scaricato insieme al Cassero e rimase funzionante fino alla fine del secolo XVIII. In una delle case più vecchie de Via Brugnoli esiste un pozzo profondissimo, scavato nel terreno semiroccioso, che sicuramente non fu fatto per un’abitazione privata. In ultimo, all’angolo delle mura tra Via Brignoli e Via Cialdini si trova una scala in pietra da una volta in laterizi, forse un’uscita segreta del Cassero, che dava verso sud.
Le muraglie in cotto che si vedono adesso dalla porta e lungo le Vie Cialdini e Brugnoli furono ricostruite, anche sopra i ruderi delle mura del Cassero, come difesa contro gli attacchi del duca d’Urbino nel 1519.